Vita da star

Racconto vincitore del Premio Federico II De Arte Narrandi 2014

Sono una star. Chissà in quanti mi invidiano!

Eh, no… In realtà, essere una stella in un universo variopinto di divine opere d’arte, non è per nulla raro. Anzi, è persino banale. Fra l’altro, non sono nemmeno una grande star. Le mie cugine invece sì. Loro sono importanti. Loro fanno grandi cose nella vita: preparano gli elementi per le generazioni future e sono visibili a centinaia di anni luce di distanza, nelle loro sfolgoranti vesti blu. Prendiamo ad esempio le mie giovanissime cugine Pleiadi: sette sorelle, sette galline che starnazzano come nessun’altra nel pollaio… Ehm, volevo dire… che risiedono nel nostro ramo di Via Lattea. Sono luccicanti da far paura, vivono in un campo rigoglioso e si adornano di veli diafani ed eleganti. Soprattutto quella vanitosa di Merope…

Io, invece, sono piccola e sola. Infatti mi chiamano Sole. Il plurale serve per darmi un po’ di coraggio, per farmi capire che, come me, ce ne sono tante di stelle sole. Non che io pretenda di avere una famiglia numerosa come le Pleiadi, ma almeno un compagno, un simile con cui danzare attorno a un comune centro di gravità. E pensare che ci sono stelle che hanno più compagni… Ma per fortuna anch’io ho delle amiche. Quella che abita più vicino a me – così vicina che la chiamo Proxima – è una tipa insignificante, una nanetta rossa che però, a modo suo, sa rendersi interessante: ogni tanto mi guarda con attenzione, come se volesse farmi una radiografia e credo che si stia avvicinando a me. Che carina!

Certo, le mie cugine saranno anche ben in vista, ma che fatica tutto questo sfoggio di luce! Sai quanto devono mangiare per farsi vedere così belle? E mangia oggi e mangia domani, e brucia oggi e brucia domani… Vedrai come finiranno in fretta! Stelle degeneri! Io, invece, vivrò a lungo. E anche se non ho un compagno, la mia progenitrice mi ha fatto un dono meraviglioso. Mi ha lasciato una collana di perle e io me le tengo ben strette. Sono una diversa dall’altra. La prima è piccolina, ma la seconda è abbastanza grande, quasi come la terza, la mia preferita. La quarta è la metà della terza ma ha un bel colore rosso ruggine. Poi, più lontano, ci sono le perle più grandi, ma sono un po’ evanescenti, non sono solide come le prime quattro. Comunque, la quinta è la più grossa, con un occhione rosso che ti guarda un po’ minaccioso e tanti, divertenti ghirigori arancioni che si muovono sullo sfondo di candide fasce parallele. La sesta è una sferetta inanellata, un’incantevole trottolina cosmica. Poi ci sono altre due perle azzurre ma sono così lontane che faccio fatica a vederle.

Dicevo che la mia preferita è la terza perla. È unica. È coloratissima. E io mi prendo cura di lei perché è… viva. Questo è il mio vanto. Le mie cugine straluccicanti e dalla vita breve non potranno mai avere una perla così. Bisogna pazientare per coltivarla. Ho aspettato miliardi di anni, nonostante all’inizio non promettesse niente di buono, turbolenta com’era. L’ho scaldata con dolcezza. L’ho tenuta né troppo vicina né troppo lontana. E nell’ultimo periodo è successo qualcosa che nella mia lunga vita non avevo mai visto: miriadi di segnali elettromagnetici artificiali partono ogni istante dalla sua superficie e come tante vocine giungono fino a me. Che emozione!

A parte questo, la mia vita scorre abbastanza tranquilla. Mangio cibi semplici e leggeri e il mio equilibrio è stabile: sono concentrata su me stessa ma irraggio anche luce e benessere attorno a me. Qualche difettuccio però ce l’ho: la pelle a buccia d’arancia, con qualche neo e qualche protuberanza che può durarmi addirittura alcune settimane. Ma ho anche una magnifica corona candida di sbuffi e pennacchi.

Per fortuna ho ancora qualche miliardo di anni per godermi la mia regalità e i miei gioielli, ma non sono eterna. E così ogni tanto penso alla mia fine. Me ne andrò in punta di piedi, a differenza delle mie vanagloriose parenti che non riusciranno a controllarsi dinanzi alla vecchiaia (non vorrei essere vicina a una di loro). Quando il cibo scarseggerà e, stanca di tutto il lavoro compiuto, non avrò più la capacità di nutrirmi, sospirerò e soffierò via una buona parte di me, con calma, fino ad accarezzare le mie prime quattro perle. Mi adornerò così di una sciarpa colorata e ciò che resterà di me avrà ancora un cuore caldo per molto tempo. Invece, le mie cugine disperate, ridurranno in brandelli le loro sfavillanti vesti, diventate rosse e vaporose; disperderanno la loro ricchezza lasciandola in eredità allo spazio siderale e di loro resterà un cuore perverso ed egocentrico, che ruoterà follemente su se stesso, senza pace. Le più massicce si daranno al cannibalismo: infatti, la loro singolare fine non lascerà indifferenti i vicini che verranno attirati dal fascino irresistibile delle moribonde creature, divenute zombi stellari, vampiri golosi che succhiano materia e luce. Quando gli ignari e fiduciosi confinanti supereranno il fatidico orizzonte e faranno la macabra scoperta, sarà troppo tardi per tornare indietro!

Ma non pensiamo alla fine. Ho ancora tanto tempo per guardarmi attorno, per vederne di belle. Un desiderio lo avrei: vorrei potermi spostare dalla posizione in cui mi trovo e trascinarmi dietro le mie amate perle. Vorrei divenire una stella vagabonda, per scoprire ciò che non posso conoscere rimanendo qui. Chiederò al gigante Orione di lanciarmi con il suo possente braccio verso una meta qualsiasi. Gli dirò che ho sempre amato viaggiare!

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